LA RINASCENTE ROMA PIAZZA FIUME

Il venticinquesimo numero di Cronache annuncia agli amici della Rinascente un importante avvenimento nella vita aziendale: l'apertura della nuova grande filiale di Roma in Piazza Fiume Cronache Rinascente Upim, anno XV, numero XV, 1961

«Quando fu aperta la prima Rinascente, Roma era già allora una città in crescita che si avviava al milione; una città provincialotta di gusto umbertino, con la vecchia stazione dall’orologio sul frontone, con una anima saporita trilussiana.

In questa Roma dalle sonnolente carrozzelle trotterellanti sul sampietrino, l’apertura del grande magazzino di Piazza Colonna fu un vero avvenimento; il grande edificio divenne, negli anni successivi, un punto di riferimento per la vita della Capitale.

“Dove ci rivediamo?” si chiedevano nell’accomiatarsi gli amici; “Dove ci incontriamo?” si chiedevano al telefono a manovella gli uomini d’affari nel fissarsi un appuntamento per gli svaghi della sera. La risposta era sempre la stessa: “Alla Rinascente”.

Nasceva una moda per Roma, la moda della Rinascente: il palazzo funzionale e lussuoso per quei tempi, coincideva infatti con un mutamento dei gusti della città.

Con la sua mole inusitata, con la sua architettura di un livello al di sopra delle tante altre costruzioni dell’epoca, ma anche con la sua “aria di casa”, quell’edificio di Piazza Colonna rappresentava il paradigma di una Roma proiettata nel più vicino futuro, un po’ meno paesana, piu aperta al progresso, sempre peninsulare d’accordo, ma con un occhio già aperto sull’Europa.

Quanti furono negli anni successivi gli edifici di Roma che si ispirarono al palazzo di Piazza Colonna? Quante le ville che presero a modello per la loro hall l’ampia scala dai passamano ottonati della Rinascente? Molti, moltissimi, tanto da dirsi che nello stile architettonico di quel periodo prepiacentiniano quell’edificio significò un “modulo” cui attingere, un gusto da seguire. Così per la gente di Roma gli abiti, i casalinghi, i mobili, i prodotti di bellezza della Rinascente determinarono una moda.

Essere clienti de la Rinascente significava allora ripudiare la mentalità da “rione”, apprezzare il progresso, preferire, in treno, il wagon restaurant al cestino da viaggio.

Ma il tempo incalzava: il piccone demolitore pur nel suo dinamismo iconoclasta apriva larghe vie, creava nuovi ampi quartieri, liberava il centro da casupole e catapecchie indecorose per una Capitale moderna.

Tramontato lo stile umbertino, si inaugurava quello piacentiniano, mentre Trilussa obbligato a ritirarsi nella loggia di casa sua a guardare “quelle sere d’agosto tanto belle ch’er celo troppo carico de stelle se piia er lusso de buttanne via”, commentava: “a ciascuna che passa, penso spesso alle speranze che ie stanno appresso”.

Roma andava intanto mutando sempre più il suo volto, le sue abitudini, i suoi costumi. La Rinascente nata per i borghesi del centro, sfondate subito le barriere della natural diffidenza romana, si era imposta allargando la sua zona d’influenza e la sua clientela dai quartieri del centro a quelli del Flaminio, dei Prati di Termini ed espandendola a ceti sempre più vasti. Vittorio De Sica alle soglie della popolarità girava proprio nei saloni di quel palazzo il film Grandi Magazzini che doveva lanciarlo più tardi alla fama e alla gloria. Nella sua piena floridezza, quell’edificio di stile umbertino dall’ampia scala, dalle commesse tutte carine e gentili, con le prime “scale mobili” impiantate a Roma, simboleggiava un mondo oltre che sintetizzare la vita della città, della Capitale, anche se rimaneva fedele a quella sua “aria di casa” che poteva dirsi forse la ragione prima del suo successo.

Perché se la città era mutata nei suoi quartieri, nelle sue case, nelle vie, nelle abitudini, non era mutata invece nella sua anima romanesca.

Altri anni intanto scivolavano, con l’acqua del fiume, sotto i ponti di Roma che diventata internazionale e cosmopolita imponeva una sua moda al mondo, lanciava una nuova poetica cinematografica mentre le automobili, soppiantate le carozzelle, trasformavano la dolce Via Condotti del Caffè Greco in uno dei sensi unici del quadrilatero di scorrimento. A cavallo dell’onda la Rinascente di Piazza Colonna espandeva i reparti di vendita, moltiplicava il numero delle commesse, si trasformava all’interno tentando una funzionalità che il suo creatore non aveva minimamente sospettato ma che si rendeva indispensabile per aderire alle richieste di una clientela allargata ormai a tutti i ceti sociali della metropoli. Ma i tempi nuovi richiedevano un magazzino nuovo. Ecco da dove nasce la nuova Rinascente, il modernissimo Palazzo di Piazza Fiume: dalla necessità di essere sempre sulla cresta del progresso, per continuare a mantenere la sua funzione: contenere in sintesi il mondo dell’oggi ma annunciare nello stesso tempo quello del domani.

[…] Nato nell’epoca delle calcolatrici elettroniche dell’automazione, delle indagini di mercato, della crescente motorizzazione, il Palazzo Rinascente-Fiume è la “derivata” di tutti questi elementi, una “derivata” però mediterranea, viva come la fiamma del camino e non matematica come il calore del raggi infrarossi. La sua ubicazione risponde a quel decentramento della popolazione di livello sociale economico elevato chiaramente denunciato dalle statistiche, alla possibilità di parcheggiare le auto, alla tonificazione di un settore urbano che si calcola di 116mila famiglie pari al 24% di quelle complessivamente residenti nella Capitale. L’interno dei reparti curato dall’Arch. Pagani con i suoi cinquemila metri quadrati di vendita, con le sue cinque scale mobili, che permetteranno il flusso e il deflusso di venticinquemila clienti l’ora, è studiato per rispondere alle esigenze di questa nuova Roma degli anni Sessanta, ma certo non vuole metter in pensione la Rinascente di Piazza Colonna, aristocratica prima filiale. Entrambe stanno a testimonianza di una tradizione che non rimane fine a se stessa ma che si rinnova con il trascorrere dell’acqua del Tevere».

Sandro Dini

Eloquenza di una nuova architettura

1 — Pianta del progetto realizzato della sede Rinascente Roma piazza Fiume; fronte su piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

Abbiamo chiesto a Franco Albini e Franca Helg - progettisti della Rinascente di Piazza Fiume - di illustrarci il significato della loro opera

Cronache Rinascente Upim”, anno XV, numero XV, 1961

«L’edificio per la seconda Rinascente di Roma in Piazza Fiume è stato concepito tenendo presente anzitutto i vincoli che hanno condizionato questa nuova architettura: netti vincoli di piano regolatore, che imponevano determinati spazi e precisi volumi e che suggerivano di riprendere simmetricamente nella facciata di testa la linea degli edifici preesistenti; vincoli di destinazione, dovuti alle esigenze del magazzino il quale richiede vasti locali non frazionati e decentralizzazione delle scale e dei locali di servizio; vincoli strutturali, che imponevano di avere luci ampie e tali da consentire la massima utilizzazione di spazio e solai di spessore minimo; vincoli di impianto inerenti al gran numero di particolari attrezzature che un grande magazzino richiede e che sono determinanti anche per le soluzioni architettoniche.

La questione della centrale di condizionamento dell’aria è stato ad esempio uno dei fondamentali problemi ed è stato risolto, in forma nuova, con due diversi impianti uno all’ultimo piano, l’altro nel 3° sotterraneo (anziché con un unico nel sotterraneo), per evitare che i condotti di maggior capacità venissero a ingombrare lo spazio del piano terreno, ove maggiori sono le necessità; così impostata, la soluzione ha dato lo spunto per l’articolazione formale delle facciate, ove i condotti che percorrono le pareti esterne sono inseriti nelle lesene decrescenti come numero dall’alto in basso.

Risolti a priori i principali problemi di carattere tecnico, si è quindi potuto fissare una concezione generale dell’edificio che ha uno scomparto semplice e quasi classico: cornicioni assai marcati (di precisa derivazione tradizionale) completano la tessitura di elementi architettonici già impostata dalle lesene e dagli elementi strutturali portanti in ferro. Anche tali cornicioni sono del resto utilizzati per il passaggio dei condotti di illuminazione, dell’acqua e così via, pur assumendo una precisa configurazione in termini estetici. Per la scelta dei materiali si sono dovute tener presenti non solo le raccomandazioni della Sovrintendenza ai Monumenti (le quali imponevano che l’edificio assumesse un carattere “romano” in accordo cromatico con le mura aureliane) ma anche precise necessità economiche in base alle quali sono state usate, nelle maglie della struttura costruttiva, pannelli di chiusura in materiale artificiale (granulato inalterabile) che hanno consentito gran risparmio di spazio, di peso e di messa in opera, nonché elementi monolitici a canale per le lesene che contengono i condotti del condizionamento. Con la successiva rielaborazione dei primi progetti l’edificio ha così assunto una pianta assai originale: simile a quella di una portaerei, ove l’utilizzazione dello spazio è studiata in ragione alle particolari esigenze funzionali, così da decentrare ogni ingombro di servizio e impianti verso l’esterno.

2 — Pianta del progetto realizzato della sede Rinascente Roma piazza Fiume; fronte su via Salaria, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

L’ultimo piano ha richiesto inoltre uno studio diverso poiché in esso si è stabilito di installare gli uffici i quali esigono luce naturale; nel medesimo tempo si è voluto aprire delle finestre a mansarda di nuovo tipo, così da permettere la continuità della struttura portante. È stato anche possibile con tale soluzione rispettare la linea del cornicione e installare in esso una rotaia ove girerà un carrello per la manutenzione delle vetrate e delle facciate.

Da queste complesse esigenze, sono quindi sorti gli spunti per la nuova Rinascente di Piazza Fiume che ha progressivamente assunto in fase di progettazione una precisa individualità.

È un edificio che per la gravità delle membrature richiama l’impostazione classica degli ordini sovrapposti, ma che si propone di essere facilmente percepibile dall’uomo della strada. Una volta di più si è visto – e il grande magazzino ce ne ha dato uno spunto assai felice – che l’architettura non è più fatta solo in ragione delle esigenze del committente esterno, ma, soprattutto, è un fatto sociale, che riguarda e coinvolge la collettività. Quindi: non esclusivismo del proprietario, ma generale compartecipazione a un nuovo fatto edilizio. Il carattere tutto particolare di Roma ha poi drammatizzato questa esigenza, ha richiesto un progetto per un edificio che non si inserisce forzatamente nel tessuto urbano ma che al contrario vuole avere una facile eloquenza per tutti.

In questo spirito la Rinascente di Piazza Fiume viene realizzata come una pagina architettonica non schematizzata ma anzi arricchita di doti e di episodi che ne rendono più viva la lettura; un edificio tradizionale, che senza indulgere a mode o a stili del momento vuole interpretare e fare rivivere i valori della tradizione in una concezione sintetica e interpretativa. Nel costruire questo nuovo grande magazzino si è voluto, sia pure con la dovuta semplicità, parlare un linguaggio architettonico che abbia valore educativo, che consenta un sostanziale riallacciamento del passato e che prepari contemporaneamente la accettazione di forme architettoniche più evolute. Utilizzando elementi di linguaggio acquisiti (come ad esempio la tradizionale struttura architravata) si è ritenuto doveroso evitare a Roma novità strutturali troppo spinte ed escludere elementi architettonici di punta; così si è voluto svolgere un compito che la particolare destinazione dell’opera ha reso nello stesso tempo difficile e appassionante».

3 — Facciata della Rinascente Roma piazza fiume, in “La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana. Volume terzo”, 1968

Archivio Amneris Latis

Uno scorcio della facciata sulla via Salaria. Le pareti di chiusura dell’edificio, in pannelli prefabbricati di graniglia, sono contenute entro i telai delle strutture metalliche portanti, che sono evidenziate estrenamente. Le pannellature hanno una superficie movimentata da rilievi, corrispondenti al passaggio delle canalizzazioni verticali del condizionamento.

Roma Piazza Fiume

4 — La Rinascente di Roma piazza Fiume. Scala elicoidale, [1962]

Fotografia: Giorgio Casali 

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

Entro uno spazio libero trapezioidale, delimitato da pareti continue, la grande e suggestiva scala ellittica si svolge salendo ad elica con una struttura di acciaio indipendente, semplicemente agganciata alle pareti. I gradini sono in marmo rosso di Verona.

Un secondo grande magazzino per un grande centro internazionale. Tra i sette piani di vendita una favolosa e raffinata boutique internazionale.

Cronache Rinascente Upim”, anno XV numero XV, 1961

5 — La Rinascente di Roma piazza Fiume. Veduta del reparto mobili, [1962]

Fotografia: Giorgio Casali 

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

6 — La Rinascente di Roma piazza Fiume. Veduta del reparto uomo, [1962]

Fotografia: Giorgio Casali 

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

«La Rinascente dalla seconda metà di settembre offrirà alle signore romane la più grande boutique che esse potessero desiderare.

Alla seconda Rinascente romana ci andranno le signore dei Parioli talvolta accompagnate dai loro mariti ma andranno anche gli scapoli indaffarati per il ménage dei loro pied à terre.

E in sette piani tutti troveranno il “qualcosa” che fa per loro, compresa l’aria condizionata che sotto il sole dei colli romani ricorda il ponentino che fa muovere dolcemente le bandiere delle ambasciate.

La Rinascente di Piazza Fiume è il primo magazzino ad aria condizionata la quale a un certo punto diventa anche porta d’ingresso, una porta simbolica che non pone quindi nessuna barrier fra chi sta fuori e quello che c’è dentro. Non occorre che il compratore indeciso trovi il momento giusto per abbassare una maniglia o per spingere una porta. Non occorre il “momento” per attraversare una barriera d’aria, caratterizzata da qualche grado in più o in meno, quel tanto che basta per invogliare il passante a diventare un compratore.

Egli potrà aggirarsi nei sette piani per i sette, e molti di più, settori merceologici. Nel sotterraneo troverà casalinghi, elettrodomestici, suoni racchiusi in dischi con relativi strumenti e tre cabine di audizione. Al terreno il profumo delle essenze si unirà a quello delle marocchinerie, la merceria starà a contatto con i filati di lana, le bonetterie con le calzetterie, la cancelleria col settore “foto e cine”. Al 1° piano tutto per l’uomo, dalla testa ai piedi compreso l’abbigliamento per lo sport.

Infanzia e tessili si ritrovano al 2° piano, insieme forse perché i tessili sono fra i generi meno fragili da offrire ai passaggi dei bambini, in quel piano considerati compratori. Staccare le donne dalla saletta da tè e dal bar sarebbe stato come punirle: per questo il 3° piano si apre all’insegna di «tutto per la donna» e sembra che tutto veramente sia. Al 4° invece si trovano tappezzeria, valigeria, attrezzi sportivi, giocattoli. Al 5° mobili, arredamento, lumi e la zona per le Mostre speciali, la prima delle quali si terrà all’apertura e svolgerà diligentemente il tema della scuola [...]. In questi sette piani per più di altrettanti settori merceologici si muovono 250 addetti. Le gerarchie inferiori hanno fatto le ossa e hanno imparato l’abc del venditore discreto a Roma; quelle superiori come i capi reparto, si sono fatti anche a Milano. Alla direzione della «grande boutique» c’è uno svizzero che alla precisione dei cantoni unisce esuberanza, cordialità e vivacità latine. Si chiama Stefano Broquet e la Rinascente ormai da anni lo ha fra i suoi. I 5.000 metri quadrati dedicati alla vendita comprendono particolari di ogni genere. Il cliente si sentirebbe smarrito di fronte a una quantità così vasta di merce se il personale non fosse sempre a sua disposizione, anche per rispondere alle domande piu ovvie.

7 — La Rinascente di Roma piazza Fiume. Veduta del reparto libreria, [1962]

Fotografia: Giorgio Casali 

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

8 — Reparto attrezzi sportivi, Rinascente Roma piazza fiume, in “La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana. Volume terzo”, 1968

Archivio Amneris Latis

Le pareti a listoni permettono l’aggancio di elementi speciali per l’esposizione dei vari gruppi merceologici. Il pavimento è in gomma gialla, il soffitto è costituito da lamelle in lamiera scatolata, tra le quali sono inserite le fonti luminose a luce miscelata.

L’architetto Carlo Pagani che insieme all’architetto Gian Carlo Ortelli hanno curato l’arredamento della “grande boutique” del Parioli. Autori anche di quella genovese, essi si entusiasmarono per i piani di vendita ogni tanto interrotti, che erano stati resi necessari in quella sede per esigenze di costruzione e nei quali si dispiegavano i reparti di vendita. Saliscendi e piani interrotti creavano un mondo di sorprese, piacevolissimo per il cliente e proficuo per le vendite. Anche a Roma quindi è stata rotta l’unità troppo facile ma soprattutto si è cercato di evitare ogni frattura fra cliente e merce.

I mobili per esporre le merci sono del tutto nuovi: in particolari laminati plastici che offrono meno possibilità all’usura. E proprio per ottenere questo, in tutto il grande magazzino sono state eliminate le vernici e quant’altro offrisse appiglio al tempo; gomma e moquette sono state alternate sui pavimenti: gomma ad esempio nei casalinghi per il maggiore senso di pulito, mentre la moquette si trova nelle confezioni a rendere discreto ogni passo, come discreto sarà rivelare al marito gli acquisti fatti in questo reparto.

Luci a centinaia di lux al metro, fluorescenti in molti reparti più dolci e incandescenti invece per le signore e i mobili, creano di volta in volta l’illuminazione più invogliante, che parla di svaghi e di calore famigliare, di pulizia e di intimità.

Ma la novità di questo spiegamento di merce in vendita con vigili commesse dalla funzione di consigliere, è il raggruppamento merceologico che unisce vari prodotti secondo la loro destinazione e funzione […]; così per esempio il mobile da cucina è sceso fra i casalighi. L’acquisto diventa più facile, e così fra i colori pallidi dei reparti destinati alle signore, fra quelli verdi e legno destinati ai signori, e accanto a quelli delicati per la casa, il cliente trova quanto di meglio può desiderare e quanto di meglio si poteva offrirgli».

Vera Squarcialupi

La Rinascente di Franco Albini e Franca Helg “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

9 — Pianta del primo progetto a campata unica de la Rinascente Roma piazza Fiume; fronte sulla via Salaria (montauto sul fianco ovest, scala esterna su piazza Fiume), in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

Nel 1957 la Rinascente incarica lo studio Albini Helg per il progetto della nuova sede di Roma. L’intervento a Roma di architetti lombardi è un fatto piuttosto eccezionale. I due progettisti sono esponenti di quella cultura milanese che già agli esordi del movimento moderno in Italia si era definita con caratteri ben diversi rispetto all’ambiente romano e il divario si era poi acuito nel dopoguerra con la costituzione di due fronti: il primo aveva privilegiato l’eredità razionalista, l’altro l’architettura organica.

La diversa scelta culturale è accompagnata da un tradizionale divario tra le realtà sociali delle due aree del Paese e quindi da una diversa committenza rappresentata nella prima dall’attiva borghesia industriale, nella seconda dallo Stato e dalla pratica burocratico-ministeriale. Ciò ha determinato di fatto nel tempo quasi una spartizione delle zone di influenza per cui è raro il caso di architetti milanesi che lavorino a Roma. L’eccezione romana della Rinascente conferma quanto detto perché l’edificio è voluto da un gruppo commerciale del nord. Se si esclude l’epoca dei grandi concorsi del ventennio e i tentativi di opportunistiche e temporanee alleanze come quello piacentiniano per la città universitaria, sono rari i casi di studi milanesi che abbiano avuto la possibilità di operare a Roma, e se, risalendo agli anni Quaranta si possono citare casi come quello dei B.B.P.R. con l’ufficio postale all’EUR, bisogna considerare che si tratta quasi sempre di interventi esterni alla città vera e propria.

Le difficoltà quindi sono di duplice ordine: a una certa diffidenza dell’ambiente professionale locale, che vede invaso il proprio campo d’azione, si unisce l’obiettiva difficoltà a inserirsi in una realtà urbana ben diversa da quella abituale e difficile per memorie storiche e prestigio. Di queste difficoltà si rendono ben conto i progettisti e ne è prova l’impegno col quale affrontano il tema, fornendo inoltre all’ambiente romano un esempio di chiarezza tecnologica che sarà un punto fermo nell’attività delle più giovani generazioni di architetti locali. Il luogo prescelto dai committenti per l’edificio è piazzale Fiume all’angolo della via Salaria: spazio caratterizzato dalle emergenti moli delle mura aureliane e dall’edilizia residenziale tardo-ottocentesca; comunque non un topos dalle spiccate caratteristiche se non fosse per quelle possenti e antiche mura di mattoni.

Benché all’epoca dell’incarico la piazza non presentasse la congestione attuale, era già prevedibile un aumento del volume del traffico convogliato dalla Salaria e conseguente all’espansione residenziale in atto, che faceva dubitare dell’opportunità urbanistica della scelta lasciando intravedere il pericolo inevitabile a cui si andava incontro: quello appunto di incentivare tale congestione con la creazione di una struttura che per sua natura determina una grande affluenza di pubblico concentrata in determinate ore di punta.

Per ovviare per quanto possibile a questi inconvenienti, Albini e Helg decidono per un volume compatto e chiuso che si uniformi al reticolo viario senza creare grosse fratture rispetto ai modelli degli edifici circostanti e che ostenta, nella prima felicissima soluzione, un ampio garage sul tetto, quasi a voler sottolineare la sua autonomia e la volontà di non pesare sul già congestionato ganglio cittadino. Respinto dai committenti per vari motivi, questo primo progetto rimane tuttavia tra le architetture più felici progettate in Italia, e non solo in Italia, sul finire degli anni Cinquanta e merita, per quanto arida risulti la descrizione di un edificio non realizzato, una analisi accurata anche in vista di un confronto con il progetto finale. La tipologia richiesta è quella di ogni grande magazzino moderno: grande contenitore a piani sovrapposti, dalle superfici eguali e flessibili, quindi pressoché indifferenziate, con un’illuminazione uniforme, quindi artificiale che richiede la completa chiusura verso l’esterno. Ma già questa prima soluzione si presenta con un’evidente novità distributiva (che è al tempo stesso elemento di attrazione conforme alla logica consumistica propria di questo tipo di edificio) quale il grande parcheggio sui due ultimi piani; memoria forse di quella pista che Giacomo Mattè Trucco aveva ideato per la Fiat Lingotto di Torino e che negli anni Venti aveva affascinato lo stesso Le Corbusier.

10 — Pianta del primo progetto a campata unica de la Rinascente Roma piazza Fiume; fronti su Corso Italia e via Aniene, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

L’edificio si sviluppa complessivamente su dieci piani: tre di essi sono interrati, sette fuori terra. I piani interrati, come i due blocchi dei servizi e dei collegamenti verticali, uno dei quali sovrasta l’ultimo piano del garage, sono in cemento armato. I piani fuori terra destinati alla vendita, agli uffici e alle riserve di merci hanno struttura in ferro a vista costituita da portali a doppio T a sezione variabile incernierati agli appoggi che consentono l’abolizione dei pilastri interni. Lungo le facciate maggiori restano in evidenza i piedritti dei portali il cui spessore si uniforma all’andamento del diagramma dei momenti. La sagoma delle travi in ferro si curva poi in corrispondenza dell’ultimo piano a mo’ di tirante a reggere l’ultimo livello del parcheggio. Appare qui chiaro il riferimento alla tradizione ottocentesca delle grandi architetture in ferro: i magazzini parigini, le aule e le serre londinesi per le esposizioni. Un repertorio di forme che l’uso della struttura prescelta inequivocabilmente conferma. Le travi di collegamento dei portali corrono a una quota più bassa rispetto alle solette interne; a queste corrisponde invece in facciata il condotto per il condizionamento che assume il ruolo di evidente cornice marcapiano, anticipando il tema che sarà alla base della composizione delle facciate del secondo progetto e cioè quello dell’approfondimento dei problemi tecnici che determinano la soluzione formale.

Al prospetto su via Salaria, fittamente scandito dal gioco chiaroscurale determinato dagli elementi dei portali e dalle cornici, segue la testata sulla piazza dove, non essendo più necessaria la campata unica, appare la semplice struttura a pilastri con travi di modesta luce. Ma non vi è contrapposizione tra le due perché la facciata maggiore si prolunga “tendenzialmente” su quella minore grazie all’importante elemento del corpo esterno della scala che ne avvolge gli angoli e la percorre diagonalmente ricordando analoghe soluzioni dell’espressionismo tedesco e in particolare di Gropius; basti citare il corpo vetrato della scala degli uffici all’Esposizione del Werkbund di Colonia o il progetto per il palazzo del Chicago Tribune. Le pareti di tamponamento sono rivestite con lastre verticali di travertino, così anche i corpi costruiti in cemento armato e muratura. Il condizionamento d’aria, il dispositivo antincendio e l’illuminazione sono studiati tutt’uno con la struttura portante. Ma questo primo progetto, al contempo perfetta soluzione formale e tecnologica, non fu accettato dalla committenza e lo studio progettò l’edificio ex-novo.

Scartata la prima soluzione strutturale dei portali in ferro che scandivano la facciata, l’attenzione dei progettisti si concentra sui pannelli di tamponamento che sostituiscono al fitto gioco chiaroscurale degli elementi verticali del primo progetto, una scansione verticale meno marcata che varia secondo il percorso delle doppie condutture del condizionamento che vi sono alloggiate.

11 — Sezione trasversale del progetto realizzato della sede Rinascente Roma piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

Sono infatti le esigenze funzionali degli impianti, non più nascoste ma portate in superficie, a suggerire la soluzione formale che si articola nella sagomatura dei pannelli prefabbricati leggeri in graniglia di granito e marmo rosso e nella cornice marcapiano in lamiera che accoglie le canalizzazioni orizzontali. Anche qui si ha una diversificazione della struttura: in cemento armato fino al secondo sotterraneo e in ferro dal primo sotterraneo fino alla copertura. L’ossatura in acciaio, costituita da una orditura principale che corre in senso longitudinale e da una travatura secondaria di putrelle di ferro, restando evidente all’esterno determina con i montanti verticali la partitura delle superfici esterne. Il volume è concluso poi dal coronamento del grande telaio in ferro, sporgente dal filo della facciata tanto da consentire che lungo il suo perimetro scorra un carrello su rotaia per la manutenzione della facciata.

Ben presto la Rinascente divenne uno dei paradigmi dell’architettura italiana: uno degli edifici più pubblicati e su cui si sono scritte pagine e pagine. Si è insistito soprattutto sul rapporto con l’architettura romana e con la città leggendolo sotto diverse angolazioni storico-critiche (dando a esso diverse interpretazioni). La sensibile attenzione ambientale dimostrata dagli autori nell’intervenire in una scena urbana così ricca e caratterizzata ha concentrato l’interesse dei critici sul rapporto con l’architettura del palazzo romano che molti hanno creduto di ritrovare evocata nell’edificio moderno attraverso le citazioni di molti suoi elementi. Così nella fascia orizzontale chiara che corre sui pannelli di tamponamento si è vista l’allusione a una intersezione degli ordini di derivazione manieristica; e un riferimento classico, nello spirito della architettura borghese degli inizi del secolo, nella disposizione delle testate delle putrelle sporgenti sotto gli elementi di canalizzazione orizzontali.

12 — Sezione longitudinale del progetto realizzato della sede Rinascente Roma piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma” 1982

Archivio Italo Lupi

Al di là di queste forse troppo artificiose argomentazioni, è impossibile negare che l’impianto rigido e addirittura rinascimentale dell’edificio non faccia pensare al palazzo Farnese. Albini e Helg non ricorrono alla citazione di ambientamento, ma reinventano la memoria del palazzo romano: certo che a questa idea si è indotti anche dalla copertura, con quel telaio in ferro sporgente sul filo della facciata, che sembra ironicamente strizzare l’occhio al michelangiolesco cornicione del palazzo Farnese. […]

Molti hanno visto nell’opera il superamento o comunque un distacco da quei principi affermati dal Movimento Moderno che pur erano stati alla base della ricerca paziente dello studio per tanti anni: per primo la sostituzione al tradizionale rapporto, di puro stampo razionalista, tra maglia strutturale più evidente ed elementi di tamponatura trasparenti che non rompano la continuità esterno-interno, un rapporto diverso dove il ruolo principale spetta al tamponamento con la sua consistenza e il suo colore mentre la struttura finisce in secondo piano (assume un ruolo secondario di accompagnamento).

13 — Scala elicoidale vista dal basso, Rinascente Roma Piazza Fiume, in “La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana. Volume terzo”, 1968

Archivio Amneris Latis

14 — Scala elicoidale riservata al pubblico, posta nell’angolo fra via Salaria e via Aniene, Rinascente Roma piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

15 — Particolare della scala elicoidale, rinascente Roma piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

Anche l’assenza di un approfondimento tipologico particolarmente evidente, benché non fosse completamente addebitabile ai progettisti, ha suscitato non poche perplessità. La mancanza di una rispondenza tra spazio interno ed esterno è stata anche interpretata come superamento del metodo funzionalista a favore di un procedimento che collega l’esterno dell’edificio al contesto urbano e l’interno alle funzioni che gli sono richieste.

Ma quanto alla accusa di aver tradito i principi del Movimento Moderno i progettisti la rifiutano, fondatamente, in nome di una continuità aggiornata e tecnologicamente persuasiva del nuovo modo di costruire che risponde alla domanda del proprio tempo. Per loro l’insegnamento del Movimento Moderno è un «insegnamento morale, per una onestà culturale, per una sincerità espressiva che è argine alla licenza fantasiosa, ma non è limite alla invenzione raffinata o ricca di espressione».

Ci sembra che l’interpretazione più intelligente, che va al di là dell’analisi dei valori per così dire formali e stilistici dell’edificio, la dia Reyner Banham quando ne mette in risalto le qualità di macchina predisposta a un corretto controllo dell’ambiente. E sottolinea come sia nella prima che nella seconda soluzione lo studio ponga il problema del controllo dell’ambiente come privilegiata guida alla progettazione. Egli attribuisce al progetto un’importanza teorica che gli deriva dal doppio ruolo che l’involucro riveste nei confronti dell’ambiente: il ruolo passivo di barriera da opporre al passaggio delle condizioni climatiche esterne verso l’interno; e viceversa, quello attivo di «distributore di aria condizionata e di energia ambientale».

Una riprova del grande credito che l’edificio si è conquistato nella critica architettonica internazionale ci viene proprio anche dal giudizio di Banham e dal fatto che il critico anglosassone consideri questa architettura un modello da affiancare ai laboratori Richard a Filadelfia di Louis Kahn e alla fabbrica in Argentina di Marco Zanuso.

Cesare De Seta

Intervista all'architetto Franca Helg “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

16 — Modello del progetto di Franco Albini e Franca Helg per i magazzini la Rinascente di Roma piazza Fiume, [1957 - 1960]

Particolare del modello con la vetrata sporgente in corrispondenza delle scale mobili

Fotografia: Giorgio Casali

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

17 / 18 — Modello del progetto di Franco Albini e Franca Helg per i magazzini la Rinascente di Roma piazza Fiume, [1957 - 1960]

Fotografia: Giorgio Casali

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

«Nella mia esperienza è rara la possibilità di confronto tra l’analisi e l’ipotesi critica e le motivazioni, da parte di chi fa, per la propria progettazione. La lettura di un’opera da parte del critico valuta quello che il critico vede, sa e intuisce in una sua forma mentale, in una Weltanschauung legata alla sua propria cultura e ideologia.

Chi opera ha spesso delle ragioni più intime legate sì alla propria ideologia (che può più o meno corrispondere a quella del critico), ma anche e soprattutto al proprio esistenziale problema d’espressione senza contare che le ragioni contingenti, qualità, carattere, esigenze, disponibilità della committenza, i costi, le condizioni dei luoghi, le disposizioni legislative, la prassi burocratica e tutte le considerazioni che possono anche parere banali, entrano nell’idea progettuale e in qualche maniera incidono sull’idea stessa. Poi, nel farsi del lavoro, alcune condizioni talvolta si modificano e a lavoro ultimato, spesso di questi condizionamenti, che pure sono intrinseci all’opera, non rimane memoria e tantomeno se ne possono ricordare i critici. Tuttavia l’operazione critica è fondamentale e utile sia culturalmente che didatticamente per l’esegesi, per l’analisi del linguaggio, come scomposizione dell’opera nei suoi elementi costitutivi, per chiarire il legame tra questi elementi e gli effetti formali che ne scaturiscono, per l’analisi dell’interazione tra società, costume, condizioni economiche, possibilità tecnologiche, opportunità costruttive.

Nell’operazione critica vi è l’importante invenzione dei modi di lettura che allargano il dibattito e consentono anche a un pubblico distratto di partecipare culturalmente al godimento dell’opera, modi di lettura che maturano la consapevolezza dei futuri operatori. Ma spesso questa utile lettura non può essere condivisa dall’autore perché le ragioni dell’autore sono altre. L’operazione progettuale, a mio avviso, è di natura diversa da quella critica. Anche se condotta con rigore razionale, se castigata da una continua severa verifica della coerenza tra soluzioni proposte e dati intrinseci ed estrinseci del problema, ha in sé una quota di sensazioni, sentimenti, intuizioni, troppo profonde e personali per poter essere denunziata con la chiara freddezza della critica. In fondo vi è una sorta di impudicizia per chi ha progettato e realizzato qualcosa, nello spiegare il perché delle scelte ed è già scontato che non si riuscirà a spiegare quasi nulla delle proprie ragioni: l’incomunicabilità non è solo di oggi.

Comunque tenterò di trasmettere più che le ragioni delle scelte analitiche, l’animo che ha assistito questa progettazione. Sono passati oltre vent’anni, ma ricordo ancora la nostra tensione per questo lavoro. Per degli architetti di formazione lombarda, che per molteplici ragioni indipendenti dalla loro volontà hanno realizzato pochi edifici, l’occasione di fare un edificio relativamente grande a Roma, sotto la luce di Roma, di fronte a ruderi di antiche mura, in un contesto di così ampia e contraddittoria complessità – in cui sontuosità e articolazione spontanea strettamente si intrecciano –, è occasione di grande cimento e di grande perplessità. Il nodo di piazza Fiume nel 1957, quando iniziò il nostro rapporto di progettisti con la committenza e con le autorità competenti della municipalità romana, non era investito dalla congestione del traffico attuale; tuttavia era evidente che la via Salaria, raccogliendo un largo settore della espansione residenziale, avrebbe riversato in città volumi di traffico sempre più notevoli. Nelle strutture amministrative e pianificatorie di allora (e forse anche d’oggi), non vi era la possibilità di opporsi alla logica del grande magazzino, che per la sua natura porta a momenti di punta con grandi concentrazioni di folla, situato in uno dei punti nevralgici in cui ogni incentivo è sicuramente nocivo.

19 / 20 — XII Triennale di Milano. Modello in scala del secondo progetto dell’Edificio per un grande magazzino de la Rinascente a Roma, 1960

Materiale esposto nella sezione dedicata a Franco Albini delle mostre personali di architettura

Fondazione La Triennale di Milano - Biblioteca del Progetto e Archivio Storico

Anche se queste ovvie considerazioni sulle opportunità urbanistiche non potevano essere accettate dalla committenza, tuttavia contribuirono a farci decidere per un volume compatto e chiuso che rientrasse in un reticolo viario senza creare vistose alterazioni al pattern urbano. È aspirazione implicita nel nostro modo di lavorare quella di non produrre opere staccate dal contesto, ma piuttosto cose che del contesto facciano parte, quasi come fossero esistite da sempre. Questo desiderio si ricollega a quello di contribuire con il proprio lavoro ad arricchire la storia della città (o dell’ambiente costruito o del paesaggio) entrando nella stratificazione che è della storia con un’attenzione che si svolge tra due poli: il rispetto della tradizione da un lato e la necessità di esprimersi nei modi congrui del nostro tempo dall’altro. La tradizione, è stato detto, è la coscienza collettiva della continuità tra presente e passato, è la continua integrazione tra valori di costume, di etica, di cultura di ogni tempo, è una sorta di riconoscimento collettivo dei valori culturali permanenti. Le esigenze del nostro tempo sono quelle del nostro modo di vivere, di produrre, di esistere, sono quelle del nostro momento storico – e non quelle fittizie della moda. Uno dei punti salienti del nostro interesse progettuale, anche se non sempre consapevolmente espresso e non sempre raggiunto, è la ricerca di un equilibrio tra queste polarità: cerchiamo di individuare e perfezionare le costanti e di indagare le possibilità delle variabili.

Nell’occasione di un lavoro a Roma, in un ambiente eccezionale per carico di memorie e di storia, il sentimento dominante è stato la ricerca per un’architettura che rispettasse la città, ne interpretasse alcuni caratteri salienti, e fosse al contempo autentica espressione contemporanea. Questa ricerca ha investito volume, struttura, partitura, materiali, colori, dettagli, tutto. […] Noi ci sentiamo profondamente legati al metodo razionale della progettazione e alla disciplina di una rigorosa verifica propria della lezione del Movimento Moderno. […] Ora che l’assioma “la forma deve aderire alla funzione” è acquisito da tutti, l’arricchimento formale dell’architettura non contraddice l’insegnamento del Movimento Moderno. […]

Per noi la necessità fondamentale è stata quella di dare a un contenitore, inserito in un tessuto urbano sedimentato, un assetto “urbano” non necessariamente monumentale, ma nemmeno sciatto e anodino, che raggiunga una sua dignità e caratterizzazione architettonica, pur nel rispetto della normativa vigente, delle opportunità costruttive, delle esigenze di flessibilità interna, ecc. Tutti gli elementi componenti, quelli strutturali, quelli tecnologici, i tamponamenti, le finestrature, la copertura, i materiali, i colori, sono tutti sempre legati da reciproche interrelazioni. Nel lungo paziente iterativo lavorio della progettazione si sono analizzate le alternative possibilità di utilizzazione e di disegno dei singoli elementi componenti, studiando approfonditamente il dettaglio in rapporto alla composizione complessiva.

21 — La Rinascente Roma Piazza Fiume, in “Albini-Helg La Rinascente. Il progetto di architettura. Disegni e progetto de la Rinascente di Roma”, 1982

Archivio Italo Lupi

22 — La Rinascente di Roma piazza Fiume. Particolare del fronte esterno con la vetrata sporgente in corrispondenza delle scale mobili, [1962]

Fotografia: Giorgio Casali

Archivio Progetti, Università Iuav di Venezia - Fondo Giorgio Casali

L’edificio della Rinascente, lungo la via Salaria chiude la strada e ricompone piazza Fiume. La partitura strutturale dell’edificio è una scelta tecnica, ma al contempo, è una scelta architettonica per una proporzione che tagli in un ritmo pacato il volume. I profili delle travi in acciaio, già di per sé di bel disegno, sono usati come cornici architettoniche; le teste delle travature secondarie, in vista, ne aumentano, con il frantumarsi delle ombre, il valore e danno dei riferimenti alla percezione delle dimensioni. I pannelli che si rigonfiano a contenere i canali degli impianti sono una soluzione tecnologica che, ponendo gli ingombri tecnici lungo il perimetro, consente una grande godibilità interna, ma sono anche una soluzione formale ricca di chiaroscuro. Il variare della corrugazione del tamponamento con intensità decrescente dall’alto al basso, corrisponde al diminuire dei canali di condizionamento, ma è anche elemento di variazione nell’omogeneità, più fitta lungo la strada, più distesa verso la piazza. La rotaia per la manutenzione e la pulizia della facciata risponde alle precise esigenze del carrello e del suo braccio, ma è attenta a riproporre il coronamento delle case tutte attorno. Memorie barocche? O dell’architettura borghese dell’inizio del secolo? Non so. Spesso si è parlato, per certe soluzioni proposte dal nostro studio, di “ironia” e forse qualcuno l’ha detto anche per il “cornicione simulacro”. A me non pare si tratti di ironia. Gli elementi architettonici, anche nella libertà da canoni, sono nella nostra memoria visiva. Un edificio di quelle proporzioni, con quelle partiture orizzontali e verticali, per rientrare nel contesto aveva necessità di un coronamento che ne concludesse il volume.

Infine, perché quel colore? Perché quel materiale? Il monumento al Milite Ignoto in Piazza Venezia è in botticino, marmo bellissimo per le fontane di Brescia, ma livido e inerte nella dimensione luminosa di Roma, mentre i mattoni dei ruderi di S. Sabina o di S. Giovanni in Laterano sono ricchi e luminosi. Il materiale per il nuovo edificio in “curtain wall”, doveva essere prefabbricabile, avere grana e colore vivi, ma non sgargianti e doveva resistere all’atmosfera della città, come i cementi del principio del secolo. Per noi l’analisi e lo studio, sia del dettaglio che dell’insieme, sono guidati da un “come lo si esegue?”, ma contemporaneo e strettamente interrelato a un “come lo si vede?”. I dettagli, le soluzioni tecnologiche e formali si ricompongono in una sintesi i cui molti elementi devono raggiungere un assetto unitario. Le cose, pensate ed eseguite da altri, sia antiche che contemporanee, sono una parte della nostra esperienza, sono dentro di noi e nelle nostre proposte riaffiorano elementi già sperimentati che sono nella cultura architettonica di tutti. Il rapporto con i collaboratori interni ed esterni allo studio, con gli esperti di impianti e di strutture, con gli esecutori, è entrato in questo gioco paziente e intenso per giungere a una soluzione che tenesse nel dovuto conto ogni necessità per ogni settore e che fosse tuttavia controllato dal punto di vista dell’equilibrio e della caratterizzazione formale.

Franco Albini soleva dire che così come senza attrito non si può camminare, non si può progettare se non vi sono condizionamenti. I condizionamenti non sono da considerarsi remore, ma piuttosto incentivi. Di nuovo un atteggiamento “morale” che ci ha posto in una posizione di agevole collaborazione con i tecnici specialistici e che ha aiutato la partecipe comprensione degli esecutori».

Roma, Piazza Fiume 16 settembre 1961

Tutti i romani hanno voluto la nuova filiale Rinascente Cronache Rinascente Upim, anno XV, numero 26

23 — La Rinascente, Roma piazza Fiume. Apertura 18 settembre, 1961

Poster

Progetto grafico: Lora Lamm

Archivio Gian Carlo Ortelli

«Alcuni potentissimi riflettori, posti tra gli alberi, rischiaravano, nelle ore del tramonto del 16 settembre, l’entrata principale della nuova filiale romana della Rinascente, in Piazza Fiume: illuminavano il pennacchio rosso e azzurro dei Carabinieri in grande uniforme, facevano risplendere l’oro nelle uniformi di gala dei Vigili Urbani, mettevano in risalto i cento colori della folla vivace che si accalcava per osservare da vicino l’affluenza degli invitati e che commentava allegramente l'avvenimento. All’interno della grande porta spalancata, come segno di benvenuto, gli ospiti sostavano un attimo per uno sguardo d’insieme a quel magazzino di cui tutta Roma parlava.

Prima dell’arrivo degli invitati, il Presidente aveva voluto rivolgere al personale un saluto particolarmente cordiale esprimendo elogi e ringraziamenti per il lavoro compiuto e un caldo augurio per quello futuro. Due giovanissime apprendiste, a nome di tutti i dipendenti del magazzino, avevano poi offerto al Cavaliere del Lavoro Umberto Brustio e al Dr. Aldo Borletti due simboliche chiavi d’oro della filiale. Il Presidente onorario Umberto Brustio, il Presidente dottor Aldo Borletti, il Vice Presidente Sig. Cesare Brustio, il Direttore Generale Dr. Giorgio Brustio facevano gli onori di casa e i molti, moltissimi amici della Rinascente, convenuti per il lieto avvenimento, avevano l’impressione di trovarsi in una casa: il sorriso delle commesse li accompagnava e suggeriva attenzione cordiale e benevola curiosità.

L’interesse era assai vivo in tutti e la visita ai piani di vendita assumeva quindi il carattere quasi di una allegra “caccia al Tesoro”, di una ricerca delle novità.

Dopo il latino austero della benedizione del nuovo edificio impartita dall’Arcivescovo Vice-Gerente di Roma, ha preso la parola il dottor Borletti che ha espresso a tutti il cordiale benvenuto e ha ripetuto un vivo ringraziamento per la partecipazione. “Questa nuova sede si aggiunge alla vecchia e gloriosa filiale di Piazza Colonna, che in un lontano doloroso momento ha rappresentato l’unica entità vitale della nostra organizzazione: perdonate se in un giorno che dovrebbe avere solo il carattere gioioso di una festa, io ritorno col pensiero a un triste passato; lo faccio perché questa filiale che apre le sue porte al pubblico romano, non rappresenta solo la realizzazione complessa e completa di una entità a sé stante, ma un anello, sia pure particolarmente luminoso, di una catena che il lavoro tenace di molti uomini ha saputo formare con uno sforzo fiducioso di ricostruzione”.

24 — L’onorevole Campilli visita la nuova filiale Rinascente accompagnato dal Vice Presidente Cesare Brustio, in “Cronache laRinascente Upim” 1961, anno XV, numero 26

25 — L’Arcivescovo Mons. Cunial, Vice-Gerente di Roma, dopo aver impartito la benedizione si intrattiene con il Presidente Dott. Borletti, in “Cronache laRinascente Upim” 1961, anno XV, numero 26

Dopo aver ricordato come la nuova Filiale si inserisca nel complesso delle 85 Upim e delle 7 unità Rinascente, il dottor Borletti ha accennato ai problemi architettonici che si sono dovuti superare per il nuovo edificio, ha ringraziato tutti coloro che avevano collaborato alla sua realizzazione e ha sottolineato “l’opera appassionata” di tutti gli organismi aziendali e del personale che con tanto entusiasmo avevano portato a termine i lavori preparatori. “Siamo coscienti – egli ha detto – di aver agito non solo nell’interesse privatistico di una grande azienda, ma anche nella esaltazione di una funzione che ritengo altamente sociale: l’attività distributiva, non sempre considerata e apprezzata nel suo giusto valore, si manifesta attraverso questa realizzazione in tutta la sua importanza”. Dopo aver ringraziato le autorità presenti, il dottor Borletti ha concluso:

“A nome dei miei dodicimila collaboratori e nella fiducia più sicura di un prospero avvenire nel nostro Paese, dichiaro aperta la nuova filiale di Piazza Fiume”.

Il Ministro Campilli, presidente del Comitato Nazionale dell'Economia del Lavoro ha voluto quindi concludere “con l’augurio che lo sforzo che stiamo conducendo in Italia, per progredire nel campo dell’economia industriale, trovi una uguale rispondenza nel campo commerciale, perché tutti i settori hanno l’obbligo, il dovere e l’onore di concorrere al progresso del Paese”.

Il buio era già completo quando i primi invitati e le Autorità cominciavano a congedarsi, lasciando la Filiale al suo personale per un lieto brindisi augurale. L’inaugurazione era già cosa passata e la nuova Rinascente era diventata “romana de Roma”».

Come nasce un magazzino. Ogni nuova Rinascente ogni nuova Upim come navi da varare Cronache Rinascente Upim”, anno XV, numero 26, 1961

26 — La Rinascente Roma piazza Fiume, 1965 ca., in “La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana. Volume terzo”, 1968

Archivio Amneris Latis

Veduta da corso Italia, con le mura Aureliane in primo piano. L’architettura della facciata è sottolineata dalla struttura in acciaio e dalle grandi pareti vetrate che rivelano l’interno del magazzino.

«Lunedì 18 settembre, alle 9 del mattino, puntuale assieme alla prima folla che invadeva con un festoso brusio i corridoi, le scale mobili e tutti i reparti della nuova filiale di piazza Fiume, c’era un signore, di mezza età, vestito di grigio, robusto e tarchiato, con gli occhi cerchiati da un grosso paio di occhiali montati in tartaruga. Molte commesse l’hanno riconosciuto, qualcuno l’ha salutato con deferenza: l’inconsueto visitatore, anziché soffermarsi ad ammirare presso i banchi delle vendite speciali le «occasioni di settembre» o ad acquistare un giocattolo per il nipotino, a un certo punto ha tirato dalla tasca della giacca un grosso notes e ha cominciato a prendere appunti.

Una, due, tre pagine fittissime di annotazioni che dopo poche ore, quando il visitatore era di ritorno a Milano, si erano tradotte in note di servizio, raccomandazioni, lettere e circolari. L’occhio attento che la mattina del 18 settembre si era soffermato con critica benevolenza sui “nei” della nuova filiale era quello del signor Giuseppe Boracco, che dirige l’Ufficio Tecnico della Rinascente. Da ventitré anni a questa parte il signor Boracco è un po’ il papà di tutte le nuove filiali e dei magazzini Upim, e da qualche mese lo è poi anche per i supermercati dell’affiliata SMA; ha tenuto a battesimo quattro filiali Rinascente e ha rifatto, in parte, le altre. Di Upim, tra fatti e rifatti, ce ne sono 90.

[…] È qui nell'Ufficio Tecnico, insomma, che ogni nuova Rinascente nasce. […] Nel giro di poco più di nove mesi, sono state preparate e messe in grado di funzionare le filiali Rinascente di Genova e di Roma Fiume che sono tra le più moderne e funzionali del mondo.

“Ogni Rinascente (ed anche ogni Upim)”, ci ha detto con una punta di commozione e, se vogliamo, anche di orgoglio il signor Boracco, “è un po’ come una nave. La si imposta in cantiere, la si prepara sugli scali. E questo è il lavoro preliminare che, partendo dalla scelta della località, si articola nel fissare la zona esatta dove sorgerà il magazzino, nello studio del mercato e dell’ambiente, nell’acquisizione del terreno, nel primo progetto di massima e nell’adattamento di questo alle esigenze dell’ambiente. Viene poi il momento del varo. Non vi è madrina che spacchi la bottiglia di spumante sulla prora: al massimo, il giorno in cui i muratori, coperto il tetto, vi fissano una bandiera tricolore, si ritrovano anche alla trattoria per una scorpacciata di risotto (al nord) o di spaghetti all'amatriciana (al sud). La nave, cioè la filiale, è varata: occorre ora l’armatura, o meglio l’allestimento”.

27 — Rinascente Roma Piazza Fiume, in “Cronache laRinascente Upim” 1967, anno XX, numero 42

La seconda e più attuale filiale Rinascente della città si inserisce in un punto vitale del traffico urbano. L’edificio del grande magazzino porta una nota di colore e di rigore architettonico

Da mesi i relativi problemi erano stati esaminati e studiati dall’Arch. Pagani, che è uno dei massimi esperti europei nel campo dell’allestimento dei grandi magazzini: al suo nome sono legate le più brillanti realizzazioni compiute dalla Rinascente nel periodo della ricostruzione post-bellica e del successivo sviluppo; Milano Piazza Duomo, Catania, Genova, Roma Fiume sono alcune fra le tappe significative del suo lavoro. In tale fase le possibili soluzioni erano state considerate e i problemi più difficili preventivamente risolti grazie all’opera appassionata dell’Arch. Ortelli, che di Pagani è stato il collaboratore più entusiasta e che ha recato l'apporto di una specifica e approfondita conoscenza delle esigenze del grande magazzino.

La similitudine con la nave non è del tutto avventata: ogni Rinascente è infatti una piccola unità indipendente. Dopo ogni inaugurazione il signor Boracco si prende un breve periodo di riposo: si trattiene nel suo studio, esamina i campionari di mille cose, le più impensate: dalle piccole piastrelle per i rivestimenti, alle vetrate, alle lampade, fa calcoli di usura dei materiali ed è in grado di fornire a chiunque dati interessanti. Aveva ad esempio sulla scrivania un pezzo di “parquet”: imputati in quel momento i tacchetti a spillo delle scarpe femminili, rovina irrimediabile dei pavimenti di legno e di gomma. “La moda ci costa ormai dei milioni: ci obbliga a pavimentare in marmo o con altri materiali degli interi piani che i tacchi a spillo hanno reso simili alla pelle del viso di un vaioloso”, conclude amaramente, convenendo che nei magazzini i pavimenti a piano terreno debbono essere di marmo siliceo, mentre ai piani superiori sono adatti particolari materiali plastici o le “moquettes”. Il Politecnico di Milano poi, che è a quattro passi dalla nuova sede della Direzione Centrale, interviene spesso, con il suo Ufficio studi ed esperienze, a dare una mano alle fatiche dell'Ufficio Tecnico. Ora si stanno studiando altre filiali. Dove? E’ un po’ un segreto d’ufficio; lo studio del signor Boracco ricorda, in qualche particolare, quello dove si elaborano, nelle fabbriche di automobili, i progetti dei nuovi modelli.

Sono ancora da ricordare, e ci si scusi qualche involontaria omissione, l’opera dell’ingegnere Adolfo Rivarola, dell'Ufficio Immobiliare della Rinascente, che ha diretto i lavori e dei geometri Mario Boffini e Castelli.

Il 1961 è stato un anno duro per l’Ufficio Tecnico; oltre che per la nuova filiale di Roma, resterà un anno memorabile. Nelle scorse settimane, come tutti sanno, il quinto e il sesto piano della Filiale Duomo, dove prima erano allogati uffici, sono stati aperti come piani di vendita. Alle varie trasformazioni è subentrata anche la necessità di installare tutto un nuovo sistema di scale mobili, lavoro che ha dovuto essere compiuto di notte. Si è rotta la facciata, le sei autoscale del peso di 130 quintali ciascuna, sono state messe a posto e funzionano egregiamente. Tutto durante la notte (una scala ogni notte) per non intralciare la vendita durante il giorno. Sono state, dopo quelle per la preparazione di Roma, le ultime “notti bianche” per gli uomini dell’Ufficio tecnico. E per le quali pensiamo che questa citazione su “Cronache” valga ancora come un “grazie”».

Fausto Carulli